mercoledì 11 maggio 2011
Come l'acqua per gli elefanti - la recensione del film da MyMovies
Nell'America della Grande Depressione, Jacob Jankowski è a un esame dalla laurea e da una notte d'amore con la più bella ragazza del corso di medicina veterinaria. Un tragico incidente, in cui muoiono i genitori, sconvolge la sua vita e i suoi piani di studente, conducendolo su un binario alternativo e imprevisto. Lasciata la propria casa per coprire i debiti accumulati dal padre e abbandonata l'università, Jacob sale su un treno in corsa e spera nella buona sorte che avrà il volto dolce di Marlena, stella equestre del Benzini Bros Circus e moglie dell'instabile August, impresario e domatore crudele di artisti e animali. Rivelate presto le sue evidenti doti di veterinario, Jacob viene accolto con entusiasmo da August e promosso al ruolo di addestratore dell'elefantessa Rosie, ingombrante ‘primadonna' col vizio del whisky. Innamoratosi perdutamente della bionda Marlena, il ragazzo dovrà vedersela coi reiterati soprusi di August e trovare come un funambolo un nuovo equilibrio nell'universo circense.
Dentro un cerchio di segatura e sotto il tendone montato dagli operai ‘affamati' dell'America ‘depressa' si svolge il melodramma circense di Francis Lawrence, ispirato dalle pagine di Sara Gruen (“Acqua per gli elefanti”) e idealmente prossimo al Trapezio e al ménage à trois di Carol Reed. Accantonati re biblici e leggende, il regista americano rispolvera leoni, elefanti e bionde acrobate, sceneggiando il Circus di Britney Spears, diretta tre anni prima nell'omonima clip musicale. Come l'acqua per gli elefanti abita lo spazio sacro e bohémien del circo, che rimane tuttavia sullo sfondo, e rivela nella rivalità erotica (per Marlene) dei protagonisti/antagonisti il motore della storia. Le convenzioni dei film ‘sul circo', inquadrature degli spettatori, sfilate dei saltimbanchi, esibizioni degli artisti, ingresso di animali esotici, incanto di ballerine in piume e paillettes, imbonitori in giacca da domatore e cilindro, fanno un passo indietro e lasciano che a emergere sia piuttosto la fisicità dei personaggi e la loro aggressività primordiale, prima latente e dietro le quinte e poi esplicita nel cerchio dove il mélo si risolve. Le intermittenze del cuore comandano allora gli eventi senza riuscire a conciliarsi col più grande spettacolo del mondo, materia prima che non ha perso fertilità e che qui si segnala come una bella occasione sprecata. Robert Pattinson è il vertice gentile del triangolo, orfano che evoca nelle origini polacche l'emarginazione dell'emigrante e il desiderio di riscatto, Christoph Waltz è il colorato avversario, impresario con frusta e pungolo che ostenta protervia e sottovaluta il bravo ragazzo umile, Reese Witherspoon è il simbolo femminile eroticamente appetibile ma bisognosa di protezione, che cavalca elefanti e destino sotto un burlesco (e posticcio) parruccone biondo platino. La loro corrispondenza, contestualizzata problematicamente nella crisi del '29, condurrà alla collisione e a tante (troppe) variabili che si accaniranno per impedire il raggiungimento della destinazione. È un senile e nostalgico Jacob Jankowski, fuggito da un ricovero in una notte di pioggia, a raccontarsi allo spettatore dentro un lungo flashback, che ‘affonda' nella polvere e trova un limite nelle interpretazioni maschili: melodrammaticamente frenato Pattinson, melodrammaticamente sfrenato (e virtuosistico) Waltz.
Mal amministrati e troppo impegnati a ‘rimuovere' dall'immaginario collettivo il vampiro adolescente e il colonnello nazista, i due attori esagerano o trattengono gli estremismi emotivi dei loro personaggi, ‘scoprendo il fianco' alla modesta performance della Witherspoon. La tensione melodrammatica e la cultura circense americana, che negli anni della recessione ‘sfilava' lungo le rotaie, restano pertanto un miraggio poetico. Nella vita, come nella finzione, certi treni è forse meglio perderli.
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